1615-1617 Guerra gradiscana

LA GUERRA GRADISCANA (1615-1617). GRADISCA DA FORTEZZA A CAPITALE DI UNA CONTEA.
L'efficienza di Gradisca come struttura di­fensiva dell'lmpero fu sperimentata per la prima volta nella guerra che la Repubblica di Venezia scatenò contro gli Asburgo nel 1615, detta «guerra gradiscana» proprio perché si svolse in gran parte attorno alla fortezza, che costituiva il vero obiettivo degli aggressori, anche se ufficialmente il conflitto era sorto a causa di azioni piratesche compiute in Dalmazia contro le navi venete.

Fallito ogni tentativo diplomatico, il Senato vene­ziano risolse di muovere guerra aperta al­I'arciduca Ferdinando, nella convinzione di poter avere senz'altro la meglio, sia per la superiorità marittima, sia per il possesso della nuova fortezza di Palma, eretta nel 1593. L'inizio della campagna fu favorevole, in effetti, a Venezia, che riuscì ad occupare in pochissimo tempo la campagna at­torno a Gradisca e ad isolare la fortezza dove nel frattempo, come riferisce il Mo­relli, grande storico della contea goriziana, il Capitano Riccardo di Strassoldo “pose ogni cura e sollecitudine onde ridurre la piazza a sostenere una valida difesa”.
I Veneti avevano posto il quartiere generale nella località di Mariano e costruito numerosi fortini sparsi sia nella campagna ad ovest di Gradisca, sia sulle alture carsiche, fino a controllare la piazza praticamente da ogni parte.
A loro volta gli austriaci provvidero non solo a rafforzare, come si è detto, le strutture difensive (costruirono anche delle palizzate di protezione davanti al fossato che circon­dava le mura) ma anche a garantirsi i colle­gamenti esterni tenendo sotto controllo la parte del fiume, verso la quale aprirono un piccolo varco per poter fare entrare i viveri e rinforzi di truppe.
Con un massiccio impiego di uomini e mez­zi, i Veneti riuscirono a portare l'artiglie­ria pesante e leggera a pochissima distanza dalle mura, scavando persino dei «ridotti» per le postazioni da fuoco collegati da trin­cee e protetti da terrapieni.
Conclusi i preparativi «alli 5 di marzo—rac­conta il Moisesso, principale cronista della guerra—sei ore innanzi al giorno si comin­ciò a tirare con istrepito spaventoso con le colubrine nelle case e co' cannoni nella mu­raglia e nella porta, che era tra i due tor­rioni, la quale da quei di dentro non sola­mente era stata chiusa, ma terrapienata con montagne di terra e resala impraticabile. Avevano aperto per sortire nelle opportu­nità addosso all'inimico, come a soccorrere il rivellino, un usciolo segreto, che sbocca­va in un ramo del Lisonzo, il quale lenta­mente correndo ingorgavasi sotto alle mu­ra. Ed era stata fatta una strada coperta nel­la quale da quella porticella sbarcavansi i soldati, che uscivano al rivellino e altro­ve».
Risposero prontamente al fuoco gli arcidu­cali che disponevano, tuttavia, a quanto dice lo stesso scrittore, di un numero mi­nore di artiglierie, cinque o sei in tutto, (di cui uno, la colubrina chiamato«Cerbero», che sparava dal Castello, era stata dei ve­neziani) che ridussero coll'andare dei gior­ni, il ritmo dei tiri. Accortisi di ciò, i Ve­neti si illusero di prendere facilmente e presto la fortezza, anche perché dall'inter­no giungevano notizie, riportate da spie o prigionieri, di una grave carestia e di una preoccupante scarsità di uomini.
La resistenza fu invece molto lunga nono­stante il massiccio bombardamento veneto, e determinò la convinzione che Gradisca in realtà fosse imprendibile, almeno con i mezzi fino ad allora impiegati. Furono tentati anche degli assalti alle mura, senza alcun risultato. Alla fine i veneti, dopo alterne vicende, dovute anche al cambiamento dei comandanti, desistettero e l’assedio fu tolto.
Questo conflitto, che può considerarsi l'epi­sodio militare più importante della storia di Gradisca, aveva rivelato anche i pregi e i difetti della fortezza come «strumento» di difesa militare e, se la vicinanza del fiume, che era stata determinante nella scelta del sito, continua­va ad essere una protezione — poi­ché impediva l’accerchiamento della città e consentiva di accedervi anche durante gli assedi — uno svantaggio era rap­presentato dalla vicinanza delle alture car­siche, dalle quali, come era avvenuto durante la guerra, si poteva agevolmente bom­bardarla, specie con le artiglierie più per­fezionate. Chi controllava la fortezza, dun­que, doveva assicurarsi anche l'altipiano.
Per contro, la natura rocciosa del terreno la rendeva imprendibile con gli antichi sistemi delle brecce e dei cunicoli, per cui era inu­tile attaccarla «dal basso».
Da queste vicende Gradisca ricavò grande fama, rafforzata in seguito, quando da città militare diven­ne capoluogo di una contea principesca.
La guerra aveva procurato alla fortezza danni ingentissimi e l'opera di restauro apparve subito imponente. A quanto riferisce il Moisesso, l'assedio aveva colpito quasi tutte le case «delle quali ne dirupò alcune totalmente, altre ne guastò grandemente, e tutte le sforacchiò e le sbocconcellò, resele malcomode e pressoché inabitabili nelle parti di sopra, non solo per le rotture come per il pericolo della rovina».
Anche se si era conclusa col mantenimento della situazione precedente, la guerra gradisca­na ebbe comunque gravi conseguenze politiche ed economiche, da cui l'Impero faceva fatica a liberarsi, anche perché nello stesso perio­do era impegnato nell'ancor più onerosa guerra dei Trent'anni. Cercò di appro­fittarne la Repubblica di Venezia offrendo ripetutamen­te alla Casa d'Austria ingenti somme di de­naro per acquistare la fortezza che non era riuscita a prendere con le armi.
Ma l'Imperatore, pur nelle difficoltà in cui si trovava, non si lasciò tentare dalle proposte veneziane e decise, invece, a trasformare la Capitania di Gradisca in «Contea Princi­pesca sovrana e immediata dell'lmpero Germanico» cedendola, nel 1647, per una somma di 315.000 fiorini a uno dei suoi cre­ditori, il principe Giovanni Antonio di Eg­genberg, originario di Graz, alla condizione che la proprietà della contea tornasse alla Casa d'Austria in caso di estinzione della famiglia.
L'atto di cessione garantiva ai nuovi posses­sori la sovranità del territorio, ma fis­sava anche delle condizioni e tra que­ste il «jus aperturae» della fortezza in caso di necessità o di guerra, e la conservazione in piena efficienza delle strutture militari, col mantenimento di un discreto presidio e l’effettuazione dei necessari lavori di manu­tenzione .
Tutto il carico dei danni di guer­ra passava perciò alla nuova famiglia re­gnante, che, peraltro, disponeva di enormi risorse finanziarie e potè senza difficoltà far­vi fronte. Con l'acquisto di Gradisca, d'al­tronde, essa aveva acquistato il diritto di intervento e di voto nel consesso dei prin­cipi dell'lmpero, ciò che era il maggior vantaggio. Nei settant'anni in cui furono sovrani di Gradisca, gli Eggenberg non vi risiedettero affatto, se non per brevissime visite, mentre affidarono tutti gli affari di governo a loro delegati.

Nessun commento:

Posta un commento